La centrale geotermica di Castel Giorgio proposta dall’ITW&LKW Italia è un impianto binario “pilota” con una potenza di 5 MWel. Con la sua decisione del 31 luglio 2019, il Consiglio dei Ministri ha consentito “la prosecuzione del procedimento di realizzazione dell’impianto” (vedi La Storia).
In Europa le zone dove l’utilizzo della risorsa geotermica è economicamente allettante si trovano (fig. 1) in Islanda, Francia, Germania, Ungheria, Turchia e in Italia.
Qui in Italia, le aree di interesse (fig. 2) sono rappresentate prima di tutto dall’area di Larderello, dove da più di 100 anni viene sfruttata l’energia geotermica, poi dalle colline attorno alla valle di Cecina, dall’Amiata, dalla zona del Vesuvio e, infine, dal comprensorio del lago di Bolsena.
Tutto il territorio attorno al lago, infatti, è investito da permessi per la ricerca e per lo sfruttamento della geotermia richiesti dalle varie imprese. I colori nell’immagine (fig. 3) distinguono queste aree secondo lo stato di avanzamento amministrativo del progetto: quello più avanzato è a Castel Giorgio (CG), pronto per essere realizzato.
La zona interessata dall’impianto di Castel Giorgio è molto vicina all’abitato (fig. 4). Consiste nella centrale dove avviene la generazione dell’energia elettrica, e in due poli: il polo di estrazione (cerchio e simboli arancioni) del fluido geotermico (acqua calda di circa 130 °C, che contiene gas disciolti e diverse sostanze dal sottosuolo, per lo più nocive), e il polo dove il fluido raffreddato viene reimmesso nel sottosuolo (cerchio e simboli blu). Tutta la zona interessata dal progetto si trova al limite del bacino idrogeologico del lago (i pozzi di reiniezione sono proprio al suo interno), e quindi incide tutta sull’acquifero del lago.
Nella sezione verticale (fig. 5), vediamo che il lago, lateralmente, dista di circa 6 km dall’impianto; verticalmente però l’acquifero superficiale, che è tutt’uno con il lago, dista solo di qualche centinaio di metri dal serbatoio geotermico. Il serbatoio geotermico è uno strato di rocce permeabili che contiene il fluido geotermico nei suoi pori, fratture e vuoti. È separato dall’acquifero da uno strato poco permeabile più antico (“liguridi”) e uno più permeabile e più recente (“depositi neogenico-quaternari“). Attenzione però: tutti questi strati sono attraversati da faglie, cioè piani di rottura delle rocce, che costituiscono canali di collegamento tra i vari strati. Le faglie sono testimoni della storia del lago di Bolsena, conseguenza del crollo del complesso sistema vulcanico che ha creato la caldera del lago, e sono concentriche al lago. Più ci avviciniamo al lago, più densa è la distribuzione delle faglie e più sconvolto è il sottosuolo. Geologicamente, questa zona è caratterizzata dal suo vulcanismo molto recente (solo 100 mila anni fa le ultime eruzioni) e una grande fragilità.
Le condizioni per il funzionamento dell’impianto e per la sicurezza dell’ambiente e della popolazione sono: 1) la perfetta separazione tra serbatoio geotermico e acquifero superficiale; 2) la libera circolazione nel serbatoio geotermico del liquido geotermico. Proprio questo è il modello del sottosuolo che la ditta proponente mette alla base del suo progetto. Però, è solo un’ipotesi. Non ci sono argomenti scientifici a sostegno di quest’ipotesi.
Dallo schema (fig. 6) si comprende perché è così importante che le due suddette condizioni siano soddisfatte: il fluido geotermico viene estratto, cede il suo calore, e viene reimmesso nel serbatoio; deve poter tornare al punto di estrazione e riscaldarsi strada facendo. Se così non è, si crea una forte depressione al punto di estrazione, e una forte sovrappressione al punto di iniezione, con tre conseguenze nefaste: 1) vicino al punto di estrazione, la sottopressione aspira tramite le faglie acqua dall’acquifero; 2) nel punto di iniezione, la sovrappressione spinge il fluido geotermico nell’acquifero e lo contamina; 3) gli squilibri pressori favoriscono movimenti violenti della roccia, inducendo terremoti.
Purtroppo, la scienza – specificamente la recente pubblicazione di Vignaroli e collaboratori che riassume tutti gli studi compiuti sulla geologia della zona – dimostra che la realtà del sottosuolo non corrisponde all’ipotesi ideale del proponente, ma che le faglie facilitano scambi e flussi verticali, e che il fluido nel serbatoio non circola liberamente, ma che il serbatoio è suddiviso in compartimenti che ostacolano il flusso.
Con ciò è chiaro che (dal punto di vista scientifico) l’impianto presenta rischi di terremoti indotti, di inquinamento della falda del lago e di depauperamento della falda. Il lago è SIC (sito di interesse comunitario) e protetto da specifiche leggi, che impongono l’applicazione del principio di precauzione, che recita: “quando sussiste un’incertezza quanto alla mancanza di effetti pregiudizievoli per l’integrità del sito… l’autorità competente ne dovrà rifiutare l’autorizzazione”.
La fragilità geologica del sottosuolo è dimostrata dal fatto che a Castel Giorgio avvengono terremoti di magnitudo importante. L’immagine (fig. 7) mostra gli epicentri dei terremoti dello sciame sismico avvenuto nel 2016. La linea mediana ponderata attraversa l’area dove si prevede di realizzare i pozzi di reiniezione e segue la linea di una faglia attiva evidenziata da Buonasorte et al. (1988)*.
Un grave rischio di ordine diverso è rappresentato dalla prevista moltiplicazione – nel caso che l’impianto di Castel Giorgio si realizzasse – delle centrali geotermiche intorno al lago, con la trasformazione del nostro territorio in zona industriale diffusa.
Questo non lo possiamo permettere: la vocazione del comprensorio del lago è un’altra. Il lago è un sito importante, prezioso, come ve ne sono pochi in Italia e in Europa, protetto dalla normativa europea e nazionale in quanto riserva di biodiversità e risorsa di acqua potabile. Non possiamo correre il pericolo di distruggerla.
Del resto, non ne varrebbe la pena: gli impianti producono poca energia, hanno un rendimento scarso, solo del 5% all’incirca (cioè il 5% del calore viene trasformato in energia elettrica). Nella nostra zona, caratterizzata da vulcanismo recente e da fragilità geologica, ci sono alternative sicure e sostenibili a questa tecnologia rischiosa. Ne elenchiamo di seguito alcune:
- utilizzo del calore geotermico con sonde DHE (scambiatori di calore inseriti nei pozzi profondi),
- pannelli fotovoltaici: bastano 10 ha di superficie per produrre altrettanta energia elettrica quanto la centrale di Castel Giorgio, circa mille tetti coperti da pannelli,
- impianti minieolici,
- risparmio e aumento dell’efficienza energetica.
* Buonasorte, G., Cataldi, R., Ceccarelli, A., Costantini, A., D’Offizi, S., Lazzarotto, A., et al. (1988). Ricerca ed esplorazione nell’area geotermica di Torre Alfina (Lazio-Umbria). Boll Soc Geol It, 107(2), 265–337.